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26/12/2018 Turoldo e De Piaz, un dialogo inedito sul Natale e Santo Stefano

Salviamo il Natale” di David Maria Turoldo, a cura di Espedito d’Agostini - Servitium, pp. 144, euro 15 

FONTE: www.lastampa.it - Vatican Isider Recensioni - Licenza Creative Commons

 

Turoldo e De Piaz, un dialogo inedito sul Natale e Santo Stefano

È pubblicato da padre Espedito d’Agostini nella raccolta turoldiana “Salviamo il Natale”
 
(Marco Roncalli - Bergamo)
 

Da una parte il friulano padre David Maria Turoldo, celebre poeta, frate dei Servi di Maria. Dall’altra il suo confratello, compagno di studi e di vita, padre Camillo de Piaz, valtellinese. Due religiosi accomunati da tante cose: a cominciare dalla vocazione, dai conventi di destinazione, dagli studi universitari e dall’impegno nella Resistenza; due preti scomodi già all’arrivo del Vaticano II e tali rimasti ancora lungo gli anni del post-Concilio; due guide spirituali per tanti non credenti in ricerca nel «portofranco» delle loro vite, lontano (ma si fa per dire) da Milano: lassù all’abbazia di Fontanella, a Sotto il Monte, il paese natale di Papa Giovanni XXIII, dove Turoldo si stabilì nel’64; e a Tirano dove De Piaz – che vi era nato - tornò nel ’57. 

Un bellissimo dialogo fra questi due veri amici di «lunga fedeltà», continuo punto di riferimento per non pochi uomini e donne, viene ora pubblicato in appendice ad una nuova raccolta turoldiana dal titolo “Salviamo il Natale” che Servitium ha appena mandato in libreria a cura di padre Espedito d’Agostini. Si tratta di sette pagine manoscritte riportate dopo diversi testi - noti o sconosciuti- che riflettono sulla festa forse più manomessa e profanata, quella del Natale, la prima festa del cristianesimo «tragicamente imparentata con gli aspetti deteriori della civiltà del consumo» e tuttavia «per grazia» contenente « in sé il seme di una sconfitta del male, di una liberazione totale, la profezia di unità raggiungibile, per quanto utopica», così scrive D’Agostini. Aggiungendo: «Il Natale, infatti, l’incarnazione del Verbo divino, è soprattutto annuncio di una unità finalmente compiuta tra il mondo divino e il mondo dell’umano, unità che l’uomo non deve osar separare. Non esiste un mondo e una storia di Dio e una storia e un mondo terreni: la terra è l’ecumene, coabitazione del Dio creatore e redentore e dell’uomo con-creatore e co-salvatore».

Ma arriviamo al dialogo fra Turoldo e De Piaz sul Natale che benché mercificato continua «a mantenere un suo fascino, a esercitare un suo potere misterioso sugli animi, anche i più lontani». Lasciando stare il discorso strettamente teologico, De Piaz afferma qui che il Natale fa emergere ciò che nella nostra vita di tutti i giorni rimane per lo più segreto, o dimenticato, o represso: «Scopriamo quanto potremmo essere, quanto siamo diversi dalla maschera che la vita di tutti i giorni ci ha costretto ad assumere. Scopriamo, o riscopriamo, il calore dello scambio e della comunione con gli altri […]. E insieme agli altri, riscopriamo le cose: le cose della creazione e quelle prodotte dalla mano e dalla fantasia dell’uomo». «Proprio qui ha buon gioco il richiamo consumistico…», fa presente Turoldo al confratello. Che gli replica cosi: «Certo, la nostra soggezione alla sirena consumistica che si innesta come una piovra su questa nostra disponibilità, plagiandola e strumentalizzandola ai propri fini (che sono, in definitiva, fini di potere) insidia e minaccia paurosamente tanto valore, lo snatura. Ma ciò non fa altro che mettere ancora più in risalto la necessità di rivendicarlo. E questo è un compito al quale dovremmo essere particolarmente sensibili proprio noi monaci: alla larga da certi aggiornamenti S’impone una nuova “fuga mundi”?». E provando ad andare oltre la pur sacrosanta perorazione anticonsumistica o la denuncia di mondanizzazione della festa natalizia ecco De Piaz sorprenderci con alcune originali costatazioni. Come questa: «Potrebbe non essere senza ragione che esso non sia più un fatto soltanto ecclesiastico. Che ci sia, per così dire, sfuggito di mano. “Cosa di tutti” ebbe a definire il Natale Elio Vittorini [...]. Bisognerà, tutt’al più vigilare perché non divenga monopolio di altre mani, meno pertinenti…che so? L’Unione commercianti, o le agenzie di viaggio… Che continui a sfuggire di mano a tutti» .

Incalzato nuovamente da Turoldo sulla continuità del pericolo di uno svuotamento del Natale, di una perdita – insomma - del suo significato originario, De Piaz riconosce qui il bisogno di recuperare questo senso più profondo, riconducendo questa festa «alla sua integrità originaria religiosa», l’unica dove ritrovare, fra l’altro «la sorgente anche della sua irradiazione umana, della sua forza di liberazione», sostando poi sul «mistero di un Dio che esce da se stesso, che si rende, per così dire, da sacro profano», che viene «fatto» (l’espressione è di san Paolo), che «nasce», per poi riflettere sul Natale come tempo di doni e dono esso stesso. «Il dono che Dio fa, non di una grazia, non qualcosa di esterno a sé e di contingente, ma di se stesso agli uomini. Che cosa ciò vuol significare se non che è lì, fra gli uomini, che d’ora in poi Dio va cercato, esplorato, riconosciuto, amato, abbracciato, non altrove, non chissà dove?», si chiede De Piaz. Ponendosi anche quest’altro interrogativo: «E che senso, ha tutto questo, se non di rivendicare per ognuno – e innanzitutto per chi più ne patisce la privazione – quella pienezza di umanità che comporta la presenza della divinità fra gli uomini e nell’uomo?».

«C’è il fatto dell’incarnazione. E c’è il modo», continua Turoldo che dopo aver offerto altri spunti a padre Camillo sulla divinità resasi visibile sotto la forma di ciò che vi è al mondo di più fragile, un neonato, si sofferma insieme alla liturgia su «un seguito di tutt’altro segno» al Natale. Afferma qui padre Davide: «Non sarà privo di significato che, mentre l’aria è ancora risonante delle nenie pastorali, mentre il pathos natalizio ancora ci avvolge, ci si pari dinnanzi, bruscamente, uno spettacolo di atrocità, com’è un linciaggio». Spiega subito De Piaz che si tratta di un avvertimento. «Stefano ci appare come il prototipo di una lunga, ininterrotta teoria che percorre un filo rosso – il rosso del sangue - la storia, sì del cristianesimo, ma anche l’intera storia umana. L’interminabile schiera delle vittime cadute per fedeltà ai propri ideali. Le vittime dell’intolleranza, psicologica o ideologica, delle cacce alle streghe che ogni tanto gli uomini trovano il modo di scatenare sotto i più vari pretesti, che il più delle volte si possono ricondurre a quello dell’ordine turbato da difendere o da ristabilire, dell’odio verso tutto ciò che si presenta come nuovo o come diverso».

Padre Camillo conclude con un duplice invito a guardare in faccia i lapidatori di Stefano e il santo martire. Chi crediamo di riconoscere nei volti dei suoi carnefici? «Dei criminali confessi, dei teppisti col marchio di fabbrica della delinquenza? Mai più: sono uomini d’ordine, difensori della legge e della religione, gente dello stesso stampo di quelli che avevano trascinato la povera adulta al cospetto di Gesù. Ecco da quale parte può annidarsi e insorgere la vera insidia, il vero pericolo: allora come sempre, come ai nostri giorni». E nel volto di Stefano? Lì «pare di intravvedere, come in una dissolvenza, tutti i volti di tutte le vittime – e sono innumerevoli, anche quando venne per ognuno il momento del sacrificio , erano magari soli e abbandonati da tutti. I volti degli Stefani che giacciono nelle segrete del nostro civilissimo mondo, o che sono torturati, messi a morte, fatti sparire, o costretti all’esilio, o anche semplicemente al silenzio. Le vittime, passate e recenti, delle religioni e degli ateismi di stato, o dei conformismi di gruppo. Il volto del tuo, del nostro Romero. Sì non è senza significato che l’allarme scatti nel bel mezzo del sogno natalizio». 

 

Salviamo il Natale” di David Maria Turoldo, a cura di Espedito d’Agostini - Servitium, pp. 144, euro 15 

 

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